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Che non m'aveffe dal furor marino

Ariosto.

Lafciato tor di riveder Zerbino.

19.

Come ch' io aveffi fopra il legno vefti
Lafciato, e gioje, e altre cofe care,
Pur che la fpeme di Zerbin mi resti,
Contenta fon, che s'abbia il resto il mare.
Non fono, ove fcendemmo, i liti pefti
D'alcun fentien, nè intorno albergo appare;
Ma folo il monte, al qual mai fempre fiede
L'ombrofo capo il vento, e'l mare il piede.

20.

Quivi il crudo tiranno Amor, CHE fempre
D'ogni promeffa fua fu disleale,

E fempre guarda, come involva, e ftempre
Ogni noftro disegno razionale,

Mutò con trifte, e difonefte tempre

Mio conforto in dolor, mio bene in male;
Che quell' amico, in chi Zerbin fi crede,
Di defire arfe, ed agghiacciò di fede.

21.

O che m'aveffe in mar bramata ancora,

Nè foffe stato a dimoftrarlo ardito;
O cominciaffe il defiderio all' ora,
Che l'agio n'ebbe dal foligno lito:
Difegnò quivi fenza più dimora
Condurre a fiu l'ingordo fuo appetito,
Ma prima da fe torre un de li dui,
Che nel battel campati eran con nui.

22.

Quell' era uomo di Scozia, Almonio detto,

Che moftrava a Zerbin portar gran fede,
E commendato per guerrier perfetto,

Da

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Corebo, che gentli era, e cortefe,
Non lo potè afcoltar fenza gran fdegno;
Lo chiamò traditore, e gli contefe
Con parole, e con fatti il rio disegno.
Grande ira a l'uno, e a l'altro il core accefe,
E con le fpade nude ne fer fegno:
Al trar de' ferri io fui da la paura
Volta a fuggir per l'alta felva ofcura.

26. Odo

26.

Odorico, che maftro era di guerra,
In pochi colpi a tal vantaggio venne,
Che per morto lafciò Corebo in terra,
E per le mie veftigie il cammin tenne.
Preftogli Amor, fe'l mio creder non erra
Perchè poteffe giungermi, le penne,
E gl' infegnò molte lufinghe, e preghi,
Con che ad amarlo, e compiacer mi pieghi.

27.

Ma tutto indarno, che fermata, e certa
Più tosto era morir, che fatisfarli:
Poi ch' ogni prego, ogni lufinga esperta
Ebbe, e minacce, e non potean giovarli,
Si riduffe a la forza a faccia aperta.
Nulla mi val, che fupplicando parli
De la fè, ch' avea in lui Zerbino avuta,
E ch' io ne le fue man m'era creduta.

28.

Poi che gittar mi vidi i preghi in vano,
Nè mi fperare altronde altro foccorfo,
E che più fempre cupido, e villano
A me venia, come famelico orfo:
Io mi difefi con piedi, e con mano,
Et adopraivi fino l'ugne, e il morfo;
Pelaigli il mento, gli graffiai la pelle,
Con ftridi, che n'andavano a le ftelle.

29.

Non fo, le foffe cafo, o li miei gridi,
Che fi doveano udir lungi una lega,
O pur ch' ufati fian correre a i lidi,
Quando naviglio alcun fi rompe, o annega;
Sopra il monte una turba apparir vidi,
E quefta al mare, e verfo noi fi piega.
Beifp. Samml. 6. B.

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Ariosto.

Come

Ariosto. Come la vede il Bifcaglio venire,
Lafcia l'imprefa, e voltafi a fuggire.

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Ma perchè, fe mi ferban, com' io fono,
Vergine, fperan vendermi più molto.
Finito è il mefe ottavo, e venne il nono,
Che fu il mio vivo corpo qui sepolto.
Del mio Zerbino ogni fpeme abbandono;
Che già per quanto ho da lor detti accolto,
M'han promeffa, e venduta a un mercadante,
Che portare al Soldan mi de' in Levante.

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Fortinguerra.

Nicolo Fortinguerra, ein Rdmer, geb. 1674, geft. 1735, schrieb ein sehr wißiges und geiftvolles Rittergedicht, Il Ricciardetto, in dreissig Gesängen, welches unter dem verdeckten Namen des Verfaffers (Carteromaco), gedruckt wurde. Die Manier ist zwar arioßtisch, aber doch auch sehr original, besonders in den epigrammatischen Wendungen, die fast überall am Schluß der Stanzen vorkommen. Rics ciardetto ist gleichfalls einer von den Rittern Karls des Groffen, der den Sohn eines afrikanischen und sarazenischen Königes, Scricca, erschlagen hat. Despina, des Erschlas genen Schwester, reizt ihren Vater zur Rache und zum Kriege auf, an welchem sie selbst persönlichen Antheil nimmt. Zwischen ihr und dem Ricciardetto entsteht alls måblig eine gegenseitige Liebe. Endlich wird der lehtre Karls Nachfolger, Scricca ein Christ, und Despina die Gemahlin Ricciardetto. Diesen Stof hat die reiche und fehr blühende Einbildungskraft des Dichters mit mancherlei wundervollen Nebenhandlungen zu verflechten, gewußt. Die aus dem Pulci und Ariost schon bekannten Mitter, den Ros land, Rinaldo, Astolfo und Olivieri, findet man auch hier wieder; und sehr original ist der Charakter des Ferrau', eines Kriegers und wollüftigen Mönchs. Man vergl. Hrn. heinfe's Briefe über dieß Gedicht im Teutschen Merkur vom J. 1775, Viertelj. II. S. 15. IV. S. 33. 242. Der dort befindliche Auszug sowohl, als die deutsche Ueberseßung in Versen vom Hrn. Prof. Schmitt in Liegniß, find unvollens Det geblieben. Hier ist Filomene's Geschichte, womit der fünfte Gesang anhebt.

RICCIARDETTO, Canto V. St. I-50.

Sortinguerra.

I.

Non fi può ritrovar al mio parere
Cofa nel mondo, che più bella fia,
E che ci apporti più dolce piacere,

€ 2

E fia

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