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Alamanni., Correr fempre vedrà di merce colmi;
Ne disdegniarfe un fol d'havere incarco
Ch'al fuo corfo contrario in dietro torni!
Alma facra Ceranta, Efa cortele
Rhodan, Sena, Garona, Era, et Matrona
Troppo lungo faria contarvi à pieno
Vedrà il Gallico mar foave et piano,
Vedrà il Padre Ocean fuperbo in Vista
Calcar le rive, et fpeffe volte irato
Triomphante fcacciar'i fiumi almonte;
Che ben fembra colui che dona et toglie
A quanti altri ne fon le forze, et l'onde.

Ruc

Ruccettai.

Ein würdiges Gegenstück zu dem Gedichte des Alamane ni, und demselben gewöhnlich beigedruckt, sind die Bienen Des Giovanni Ruccellai, eines Florentiners, geb. 1475, geft. 1525. Virgil's Anweisungen zur Bienenzucht, in seis nem georgischen Gedichte, find darin weiter ausgeführt; und der weise Unterricht des Dichters ist überall mit glücklich ers fundenen und schicklich angebrachten Bildern, kleinen Bes schreibungen, und angenehmen Episoden belebt. Das ganz ze Gedicht besteht aus 1062 reimlosen jambischen Versen, wovon die hier ausgehobenen das Einsammeln des Honigs betreffen.

LE API; v. 707-834.

Nel difiato tempo, che fi fmela

Il dolce frutto, ei lor tefori occulti
Sparger convienti una rorante pioggia;
Soffiando l'acqua, c'hai raccolta in bocca,
Per l'aria, che fpruzzare il vulgo chiama;
E convienti ancho havere in mano un legno
Feffo, c'hebbe già fiamma, hor porta fumo;
Che impedite da quel non piu daranti
Noja, e difturbo nel fottrarli il mele.
Due volte l'anno fon feconde, e fanno
La lor cafta progenie; ei lor figliuoli
Nafcono in tanto numero, che pare
Che fian dal ciel piovute fopra l'herbe,
L'una è, quando la rondine s'affretta
Sufpender a le travi luto, e paglie,
Pe' dolci nidi, che di penne impiuma;
Per polar l'uova genitati, che'l corpo.
Non le puo piu patire, e col difio
Già vede i rondinin, che fente il ventre.
L'altra è, quand'ella provida del tempo
Paffa il Tyrrheno, e fverna in quelle parti

Ruccellai.

Ruccellai. Ove fon le reliquie di Carthago.

Ma perche l'Api ancor s'adiran molto;
Habbi gran cura, quando grave oltraggio
Indegnamente han ricevuto a torto,
Perciò, che quando Dio creò l'Amore
Infieme a lato a lui pofe lo fdegno
Si che ben guarda, che nei piccioi corpi
Non già picciol furor di rabbia, e d'ira
Ondeggia, e bolle; e come acqua in caldaja
Che fotto'l negro fondo ha fuoco ardente,
Fatto di fcheggie, o di fermenti fecchi,
Trabocca il bollor fuor da i labbri eftremi,
Che 'in fè non cape, e le gonfiate fchiume
Ammorzan, fotto la ftridente fiamma
E'l fuoco crefce e infieme un vapor negro
Sinnalza, e vola come nube in aria.
Così fan l'Api indegnamente offefe.
Alhora è il morfo lor rabbiofo e infetto,
E sì mortal velen le in fiamma il cuore,
Che le cieche faette entr'a le piaghe
Lafciano infiffe con la vita infieme.
Se tu poi temi il crudo algor del verno,
E fe vuoi rifpiarmar per l'avvenire
E compatire a gli animi contufi
A le fatiche de l'affitto gregge;
Non dubitar di profumar col thymo
Ben dentro gli apiarii, e col coltello
Recider le fofpefe, e vane oere,
Perciò, che fpeffo dentro ai crefpi favi
La ftellata lacertola dimora

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E mangia il mel con l'improvvifo morfo
Piglia l'imbuto, onde fe infonde il vino
E ponil poi tra le vicine malve;
Collume dentro, e ftia fu quattro faffi
Quattro dita alto, acciò che quella luce
Riluca fuor, che le farfalle alletta.
Non prima harai pofato il vafo in terra,
Ché fentirai ronzar per l'aere cieco
E infieme il crepitar de l'ale ardenti
E cader corpi femivive, e,morti

Et

L

Et ancho il fumo ufcir fuor del cammino
Contal fetor, che volterai la faccia'
Torcendo il nafo, e ftarnutando infieme
Però t'avverto, che pofato il vaso,
Ti fugga, e torni poi quivi a poi' hore
Dove vedrai tutto quel popol morto;
Che farebbe un fpetta colo nefando
A quel gran faggio, che produffe famo
Come quando una vafta antiqua nave,
Fabbricata dal Popol di Liguria
Se'n la nitrofa polvere s'appicca
Per qualche cafo inopinato il fuoco
Tutta s'abbrucia l'infelice gente,
In varii modi; e chi'l petto, e chi'l collo
Ha manco, e chi le braccia, e chi le gambe
E quale è fenza capo, e chi dal ventre
Manda fuor quelle parti, dove il cibo
S'aggira per nutrir l'humana forma
Cofi parranno alhor quei vermi eftinti.

Beifp. Samml. 3. B.

Men

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Menzini.

Von diesem Dichter ist schon oben B. II. S. 135. einè Probe aus seinen Satiren mitgetheilt. Unter seinen übrigen größern Gedichten wird das Lehrgedicht über die Dichtkunst, in fünf Büchern, vorzüglich hoch geschäßt, welches im zweis ten Bande seiner zu Venedig 1769, in vier Duode;bänden gedruckten, Werke S. 117 ff. befindlich, und mit ziemlich zahlreichen Anmerkungen von dem Verfasser und vom del Teglia bei jedem Buche begleitet ist. Der hier mitgetheilte Anfang des Gedichts betrifft die Dichtkunst überhaupt, das dazu erfoderliche Talent und Studium, und den nöthigen Fleiß in der Wahl und Behandlung der poetischen Schreibart. In der Folge geht er die einzelnen Dichtungsarten nach einander durch, und verweilt sich am långsten bei den beiden vornehmsten, der epischen und dramatischen.

DELL' ARTE POETICA,
L. L v. 1. 4.

Erto è il giogo di Pindo. Anime eccelle
A formontar la perigliofa cima
Tra numero infinito Apollo fcelfe.

Che la parte lafciar terreftre, ed ima
Sol quegli può, che per Natura ed Arte
Sovra degli altri il fuo penfier fublima.

Oh tu, che prendi ad illuftrar le carte,
Deh guarda in pria come 'l tuo cor s'accende
Di quel fuoco, che Febo a fuoi camparte.

Però che in vano un nome eterno attende,
Chi di grand' ali ha difarmato il fianco,
Nè, qual' Aquila altera, al Cielo afcende.

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